Vecchio stabilimento Santa Lucia: rovi, ruggine e un sacco di tappi di bottiglie.
Un frammento di storia industriale sarda sepolto nelle campagne di Bonorva, fra le rocce vulcaniche e i loro preziosi minerali. Il vecchio stabilimento delle acque minerali “Santa Lucia” è uno dei primi esempi di produzione industriale delle acque sorgive sarde. Anche qui, come per l’azienda Montes, si torna indietro di due secoli per seguire le orme di Giulio Negretti, imprenditore comasco che giunse chissà come fino a questo angolo del Meilogu, e proprio qui trovò fortuna.
Lo scenario è la pittoresca “valle dei nuraghi”, cosiddetta perché un tempo dedicata a Santa Lucia fino al tempo delle bonifiche. Località Santa Lucia che infatti prende nome da una chiesetta situata nelle vicinanze. Dopo aver individuato delle sorgenti di acqua minerale ai piedi del monte Oltovolo, Negretti fece effettuare delle analisi chimico-fisiche ufficiali alcuni anni più tardi, nel 1895. Successivamente, a cavallo tra i due secoli, venne costruito un primo stabilimento poco sotto il costone, in cui venivano effettuate le operazioni manuali di imbottigliamento. Le esportazioni di acqua varcarono presto anche il mare, fino a raggiungere Torino, Parigi e perfino Tripoli, dove Negretti venne premiato nel 1911. L’attività dello stabilimento proseguì e l’acqua di Bonorva venne ufficialmente riconosciuta dal Ministero nel 1927.
Se la storia imprenditoriale della “Santa Lucia” continua fino ai nostri giorni, così non è stato per il vecchio impianto: alcuni anni dopo la morte di Negretti la sempre crescente produzione portò i suoi figli ad abbandonare la struttura e costruirne una di maggiori dimensioni poco più a valle, dove è ancora oggi presente e attiva.
Non rimane molto del vecchio stabilimento, ora dimenticato e invaso dall’erba alta: un abbandono che stavolta è stato innescato non da un insuccesso commerciale ma dall’esatto contrario. I macchinari, le cisterne e le tubazioni sono state trasferite e ciò che resta è un anonimo edificio diroccato e vuoto, indistinguibile dai numerosi altri casolari abbandonati della zona, con stanzoni quasi inaccessibili in cui è ancora possibile scorgere tappi e casse di legno corrosi da ruggine e umidità: unici indizi del suo passato che sta lentamente scomparendo nel nulla, inghiottito dall’oblio, dal tempo e dall’onnipresente coltre di rovi. La naturale effervescenza è solo un lontano ricordo.
Dove si trova: vicino al nuovo stabilimento, sulla Strada Provinciale 43. Google Maps