Stabilimento Sarda Ammonia: una storia fatta di avanguardia industriale, premi Nobel, rivolte popolari, banditi e aerei americani. Ma tutto finì nel 1957. Da allora qui regnano il silenzio e i belati delle pecore
Siamo alla stazione di Oschiri, comune del Monteacuto affacciato sul lago del Coghinas. Oltre i binari, degli stupendi edifici reclamati dalla natura e da qualche allevatore, ecco i resti della Società Sarda Ammonia e Prodotti Nitrici. A tanti la “chimica sarda” fa pensare a Porto Torres, Sarroch, Ottana, Portovesme: in realtà è una storia molto più antica nata anche sulle sponde del Coghinas, grazie alla sua diga.
Dove un tempo sbuffavano i macchinari, oggi si sentono solo muggiti, latrati e belati. Questa è la fine di una piccola grande storia industriale, uno dei soli nove stabilimenti italiani che durante il fascismo garantivano al Paese la produzione di nitrati, ammoniaca, solfati, concimi e fertilizzanti. Un pregevole esempio di sinergia autarchica e corporativa: come racconta Domenico Schintu la vicina centrale idroelettrica forniva l’elettricità e l’ammoniaca, pompata attraverso 14 chilometri di tubazioni che transitavano nella stazione del ponte Diana. E qui in località Lugheria si producevano acido nitrico, solforico e solfato ammonico, per una potenzialità complessiva di 10 tonnellate al giorno e 3500 tonnellate all’anno di azoto.
La Società venne concepita nel 1923 e fondata l’anno successivo sotto l’egida della Montecatini, seguendo i lavori di Giacomo Fauser e Luigi Casale, i primi a studiare e introdurre in Italia il processo di sintesi industriale dell’ammoniaca brevettato dai chimici tedeschi. Tre anni più tardi, nel 1927, la costruzione della diga del Coghinas diede una spinta innovativa al territorio di Oschiri, e i dirigenti della Sarda Ammonia decisero di costruire la fabbrica in un terreno a pochi chilometri di distanza, acquistato per 180.000 lire da un ricco possidente locale, affidandone la direzione al dottor Guglielmo Fadda. Altro protagonista centrale di questa nascente realtà fu l’ingegnere Giulio Natta, che frequentò assiduamente gli stabilimenti e la centrale del Coghinas per completare gli studi che gli valsero il premio Nobel per la chimica nel 1963.
La Sarda Ammonia operò per decenni, fortemente voluta e difesa dagli stessi oschiresi, che protestarono duramente quando la dirigenza tentò di spostare la produzione a Olbia: durante le prime fasi dei lavori, alla notizia del trasferimento la popolazione reagì bloccando con macigni alcune strade e tagliando i collegamenti telefonici. Le Forze dell’Ordine risposero inviando rinforzi dei Carabinieri e anche una compagnia di Fanteria. La protesta venne interrotta e ci furono vari feriti.
La capacità di dar lavoro fino a 300 dipendenti, l’indotto e la realtà industriale ed operaia ampliarono gli orizzonti della locale realtà agropastorale. Lo stabilimento venne infatti inserito in un sistema di stretta correlazione con la diga stessa, che forniva le materie prime per la sintesi, e garantiva una riserva d’acqua contro le frequenti siccità; inoltre, le grandi quantità di fertilizzanti e concimi chimici prodotti ottimizzarono le potenzialità dei fertili terreni della Sardegna settentrionale. Infine godeva della posizione strategica sulla linea ferroviaria per Olbia e verso gli altri principali scali sardi.
L’inizio dell’attività non fu semplice: vi furono problemi connessi ai macchinari (i compressori Demag non avevano una resa ottimale), al metodo sperimentale ancora da mettere a punto e al costo dell’elettrolisi. Col passare degli anni tuttavia la produzione crebbe, e al suo apice il complesso venne organizzato in tre blocchi distinti: l’impianto acido solforico, il reparto solfato ammonico e l’impianto pilota per terre decoloranti.
La grande popolarità di cui godeva la Sarda Ammonia diede origine persino a dei miti: come racconta egli stesso nei suoi diari, Amerigo Boggio Viola (il leggendario impresario-alpinista-fotografo biellese dei primi del Novecento, incaricato alla costruzione e alla gestione degli impianti) venne bloccato da dei banditi mentre portava i salari per gli operai; venuti a sapere chi fossero i destinatari, i malviventi lo lasciarono andare.
Gli anni della Seconda Guerra Mondiale rappresentarono un presagio per il lento ma inesorabile declino dell’attività: già nel 1938-39 Natta vi perfezionò un impianto per la sintesi di metanolo, componente necessario per la produzione di un potente esplosivo, la pentaeritrite. Di conseguenza, nonostante il segreto militare, come ricorda Paolo, figlio di Guglielmo Fadda, nel 1943
“una squadriglia di aerei americani mitragliò lo stabilimento e si accanirono sugli enormi serbatoi che normalmente erano pieni di ammoniaca, ma che per nostra fortuna erano in manutenzione ed erano stati riempiti di acqua che si sparse per tutta l’area. Se ci fosse stata l’ammoniaca saremmo sicuramente morti tutti, ma ci fu solo un grande allagamento”.
Sempre nel 1943, la Sarda Ammonia viene inglobata in un unico ente, la Società Elettrica Sarda, che solo tre anni più tardi diverrà a sua volta parte integrante della neonata Sarda Prodotti Chimici.
Nel dopoguerra la rinascita economica impone cambiamenti con cui lo stabilimento non riesce a stare al passo: i consulenti della Regione rilevano che i macchinari sono ormai antiquati rispetto ai nuovi standard, che prevedono un minore consumo di energia per quintale di solfato ammonico prodotto. Nel 1953 al fattore umano si aggiunge quello naturale: una grave siccità protrattasi negli anni successivi riduce sensibilmente l’attività dello stabilimento. È il colpo di grazia che sancisce, nel 1957, la sua chiusura definitiva, il parziale smantellamento e l’abbandono da parte della Montecatini. Iniziò l’emigrazione gli oschiresi che partirono in massa, coi pochi rimasti iscritti alle scuole per perito chimico.
Ancora oggi, aggirandosi tra i ruderi, emerge l’imponenza dell’antica avanguardia industriale. Una volta attraversati i binari ci si ritrova catapultati nel passato, ai piedi della vecchia sede amministrativa sul cui cornicione capeggiano le belle ma sparute lettere superstiti della scritta “Società Sarda Ammonia e Prodotti Nitrici”.
Risalendo la collina si incontra una grande villa, dalle cui finestre si ammira una panoramica dei ruderi dell’impianto. Infine, lasciando i capannoni ora popolati da animali da allevamento, e seguendo la ferrovia verso ovest, compaiono tra gli alberi i resti di un edificio in mattoni rossi anomalo in quel panorama: si tratta forse dell’impianto acido solforico con i suoi forni, che l’inarrestabile scorrere del tempo ha mutato e reso più simile a una enigmatica cattedrale nel deserto.
Si ringrazia Antonello Orani per la collaborazione.
Dove si trova: oltre la stazione ferroviaria di Oschiri. Google Maps