Riportiamo una testimonianza di Bartolomeo, che da bambino ha vissuto nell’orfanotrofio di Villa Eleonora e ora condivide con noi i suoi ricordi.
Quando ero piccolo (7-8 anni) ho vissuto in quel convento per ben 2 anni e mezzo, dove frequentavo le elementari della 2ª, 3ª e 4ª , seguito dalle suore che erano li.
All’interno vi era una hall, nella parte destra c’era una stanza per gli ospiti quando ci venivano a trovare i genitori, al centro c’era una scala interna che portava al piano di sopra dove noi andavamo a dormire. Io dormivo in una stanza al piano di sopra con altri ragazzi ed anche la suora, che chiudeva il suo letto con delle tendine. Ricordo che con altri rimanevamo svegli per vedere le ombre della suora quando si toglieva il velo.
Al piano terra vi erano le aule dove si andava a scuola. La maestra era una suora, non mi ricordo il suo nome, ma era molto alta e magra. Nel retro della casa vi era un cortile dove si giocava tutto il tempo, vi erano le panchine di cemento lungo il muro del cortile, in una parte del caseggiato uscendo nel cortile a sinistra vi era la cucina e dall’altra parte la sala tv e refettorio ed anche i bagni, che io odiavo.
Quando ci facevano uscire vi era un viale tutto alberato, ricordo che vi erano le ghiande a terra, e ne raccoglievo in quantità da riempirmi le tasche perché poi giocavo con i cappelletti. Non potevamo andare piu di la in quanto vi era la ferrovia ed era considerata pericolosa. Al di fuori vi era una statua, quella di Eleonora. Mi ricordo anche di un pozzo sempre in quella zona, dove si fantasticava di passaggi sotterranei.
Mi ricordo che eravamo molto controllati, e alcune suore erano molto severe. Il ricordo più bello era quando sentivi il fischio del treno. Certo, vedere oggi questo edificio cosi ridotto, e riconoscere le stanze dove ho dormito, il bagno, che non era quello ma un bagno alla turca, il refettorio ed il piazzale dove ho giocato tanto… è un peccato. Ma lì ho avuto anche il ricordo più amaro, quando mi comunicarono che mio padre era morto in ospedale a Cagliari, non capivo ma piansi tanto.