Fermati, oblitera e guarda
Siamo alla fermata Achettas al chilometro 10+751 dalla grande stazione del capoluogo lungo la linea a scartamento ridotto Sassari-Tempio-Palau, istituita dalle Strade Ferrate Sarde a metà del Novecento. Prima le Ferrovie della Sardegna e successivamente l’ARST si alternano nella gestione, finendo per rimanere attiva solo al passaggio del Trenino Verde, ma nel 2015 chiude “definitivamente”.
Forse è un richiamo del DNA sardo, della cronica anemia mediterranea che ci spinge ad “assumere” ferro al di fuori del nostro organismo; tra stazioni e miniere, passando per centrali elettriche, siti militari e fabbriche, la nostra è una vera e propria necessità, un bisogno impellente di cui non possiamo fare a meno. Sia esso sano o arrugginito, poco importa: nelle campagne sassaresi, lontano da strade asfaltate, circondati da rovi, capre, asinelli e pecore, se ne trova in abbondanza. Siamo all’estremo orientale della città, e qui vicino si erge uno sconosciuto costone, autodefinitosi Monte I Piani che nel disinteresse generale rappresenta il punto più alto del Comune, a 489 vertiginosi metri.
Delusi dai navigatori occidentali a due chilometri dall’arrivo, cerchiamo l’ennesima strada alternativa e ci incamminiamo su un grande prato verde, senza speranze, ma con diverse pecore che ci guardano stupite e intimorite. In dieci minuti circa siamo sulla strada ferrata, e nei venti minuti successivi, finalmente vediamo da lontano la vecchia fermata. Come sempre siamo nel nulla, e come sempre nel nulla sardo tutto condivide lo stesso nome: il nuraghe Achettas, la sorgente Achettas, questa fermata e chissà cos’altro.
Ma non facciamo confusione -noi siamo la confusione- e arriviamo così davanti a questo fabbricato dismesso, il fratello di quello di Filigheddu, cugino di primo grado con quello di Martis e di molti altri, poco distante dalla Chiesa di Santa Maria Iscalas, ritroviamo intatte certe sensazioni: la fame degli occhi, della conoscenza, quella dei brividi come superi la soglia e delle emozioni nel girare per la prima volta dentro un posto sconosciuto, sono insaziabili.
Tanto per gradire, all’esterno c’è un tavolo grande fatto di cemento e due pezzi di rotaie (eretto sicuramente dai gloriosi giganti nuragici), un deposito con alcune sedie e un gabbiotto, le ritirate adiacenti al fabbricato con dentro un frigorifero e poi l’edificio principale, incantevole nella sua semplicità, fuori da ogni contesto moderno. Come si apre l’uscio della porta principale, con nostro dispiacere diversi gechi cercano riparo: sono animali stupendi, da noi importunati. Sul pavimento, i resti di un uccello e quelli di una macchina, con tanto di targhe. Segni di uso abitativo a breve termine con materassi, padelle, bottiglie e vestiario, poi libri, un’asse da stiro e una testata di un letto girata da un lato. Sul muro, un rosario, in prossimità dello sportello comunicante con l’esterno, usato senza dover aprire per forza la porta principale. Il bagno custodisce tracce di utilizzo, vista la presenza di rasoi, spazzolini, altri superflui oggetti da igiene personale. Alla fine dei gradini, una grande stanza col pavimento che in alcuni tratti è staccato da terra, ha al suo interno solo uno scatolone, con sopra una scacchiera, e per terra un quaderno ad anelli con vari appunti scritti a mano. Strana la gruccia appesa, ancora in attesa di una camicia o di un maglione, da una persona forse di ritorno dal lavoro, e la sedia in stile scolastico, che sembra dirci riposatevi un poco prima di entrare nell’altra stanza: c’è tanto da vedere, e i ricordi invaderanno la vostra mente, con l’ingenuità degli adolescenti di un tempo che vi darà uno schiaffo emotivo niente male. Non possiamo fare altro che entrare.
C’è tanto disordine e non è una sorpresa: tra scatole marcate “PostalMarket”, un materasso, mobili, libri e quaderni, uno di questi ultimi cattura la nostra attenzione: niente di strano nel nome, cognome, classe, scuola e materia, ma quello che c’è scritto di fianco ad “abitazione” ci scioglie il cuore: CAMPAGNA.
Nessun indirizzo, nessuna località, niente che possa ricondurre a questo posto. Per una ragazzina della terza media, basta tutto quello che circonda questa struttura come punto di riferimento. Pensateci un attimo, provate ad immaginare la risposta ad una delle più elementari domande di questo mondo, a quel “dove abiti?”, ricevere una risposta con solo un sostantivo. Oggi si rimarrebbe stupiti, si cercherebbero altri indizi, si porrebbero altre domande, si proverebbe a capire meglio, ma per noi non c’è altro da chiarire, perché oggi, non in mezzo al nulla, ma in mezzo alla campagna c’è qualcosa. C’è un insegnamento, un valore aggiunto, una carezza al nostro animo, un tornare alle origini, un’emozione che ci fa commuovere, una sensazione di aver ritrovato qualcosa di perduto, ancorato ai nostri ricordi.
Notiamo infine lo splendido lampadario e i ritagli di giornale alle pareti, dove simpatizziamo per la scelta di aver attaccato immagini della intramontabile Lancia Delta; saliamo inoltre su un piccolo soppalco di fianco alla stanza appena lasciata, dove giacciono per terra biancheria per la casa e vecchi giochi che ci sospingono ulteriormente su ricordi sopiti. Scendiamo le scale, richiudiamo la porta e siamo di nuovo sui binari. La caccia al ferro prosegue, e le stazioni lungo tutta questa tratta non mancano.
Dove si trova: tra le campagne di Osilo, Sennori e Sassari (SS), arrivando dalla Strada Provinciale dell’Anglona e girando per il canile, prendendo la Strada Vicinale Achettas e al passaggio a livello proseguendo sui binari sulla sinistra. Oppure dalla Strada Provinciale 72 da San Lorenzo, la frazione di Osilo dagli stupendi mulini e un bel po’ di strada bianca e a piedi. Badate alla vostra vita e sicurezza, che già siete grandi. Google Maps. Wikimapia.