Anche lo zucchero può essere amaro
È difficile definire “ex” qualcosa che non è mai stato. Eppure, per lo zuccherificio di San Michele, faremo un’eccezione, visto che per decenni quest’angolo delle campagne di Sanluri ha effettivamente avuto la dizione di Stato.
Sperando che possiate perdonare la nostra ossessione per i giuochi di parole, oltre che per macerie e camminate, torniamo indietro nel tempo, precisamente alla prima metà del XIX secolo. Dove oggi si sussegue una serie identica di poderi e campi coltivati, prima c’era la vasta palude di Sabazus, col suo corollario di fango, giunchi, anguille e soprattutto malaria. Non che i sanluresi si fossero persi d’animo, anzi, caccia, pesca e manifattura di vimini permettevano comunque di sopravvivere ai margini di quell’insalubre pantano.
Arriviamo quindi al 1827, quando l’ingegner Masoero effettua dei sopralluoghi nell’area con un progetto ambizioso in testa: prosciugare lo stagno e bonificare la fertile piana. Quattro anni più tardi, nel 1831, l’ingegner Giovanni Antonio Carbonazzi ripercorre le sue orme concludendo che si può fare: viene quindi coinvolto il Re di Sardegna Carlo Alberto in persona, che a sua volta cerca aiuto nella tecnologia d’Oltralpe.
È il 1838: il Re incarica tre imprenditori francesi di iniziare i lavori, intestando l’opera al proprio erede col nome di “Stabilimento Agrario Vittorio Emanuele II di Sanluri”. I lavori partono subito in grande, ma non sono ben visti dalla popolazione e dai politici locali per questioni di espropri ed errori tecnici.
Una delle prime strutture sorge in località Santu Miali (San Michele), dove la società francese costruisce una “malandata casa colonica” e soprattutto “uno sgangherato edificio dove vi collocò la macchina per la fabbricazione dello zucchero” a partire dalle nascenti piantagioni di barbabietola.
Ma il destino è beffardo e, sfortunatamente, lo zuccherificio non entra mai in funzione: nel 1841, poco prima dell’inaugurazione ufficiale, viene distrutto da un devastante incendio che lo riduce in condizioni non dissimili da quelle in cui versa oggi.
Da allora i suoi ruderi sono rimasti a guardare impassibili i cambiamenti che si susseguivano intorno. Cambiamenti che, a dispetto delle ottimistiche premesse, non sono stati così immediati: nel 1847 e nel 1856 i francesi falliscono per ben due volte lasciando letteralmente il terreno al marchese Pallavicino di Genova, fino alla cessione statale nel 1903. Nel 1919 arriva l’acquisizione da parte dell’Opera Nazionale Combattenti e, dal 1924, le bonifiche del regime fascista fanno uscire l’area dallo stallo, con l’istituzione di quello che viene conosciuto come Sanluri Stato: una mezzadria in cui emigrarono centinaia di famiglie provenienti soprattutto dal Nord-Est della penisola.
Durante questi anni il nostro zuccherificio, ormai spogliato dalla sua vecchia identità, conosce una breve seconda vita, venendo temporaneamente riconvertito come stalla: una sorte molto meno gloriosa di quanto inizialmente concepito, a cui fa seguito un ultimo, inesorabile e definitivo abbandono.
Immerso nell’erba alta e incolta, questo gigantesco e fatiscente capannone di ottanta metri che sembra una curiosa via di mezzo tra un acquedotto romano e un quadro di Friedrich resta a testimoniare un’epoca di conquiste e fallimenti. Considerando la sua mai realizzata funzione originaria, possiamo dire che difficilmente lo zuccherificio di San Michele avrebbe potuto incontrare un destino più amaro.
Dove si trova: presso la borgata di San Michele, tra Sanluri e Villacidro (SU). Google Maps