Tra fango e rovi, nel territorio di Padru, giacciono i resti dimenticati di un piccolo villaggio abbandonato da mezzo secolo
Nascosto in una valle tra le selvagge foreste tra Bassa Gallura e Monte Acuto, Badu Andria è uno dei tanti piccoli villaggi sparsi nel territorio di Padru. Ma, a differenza di molti altri, ha avuto meno fortuna ed è stato abbandonato almeno mezzo secolo fa. Visitarlo è quasi come ripercorrere un viaggio nel tempo: un tempo che non c’è più, quello della transumanza, in cui uomini e animali domestici seguivano gli stessi ritmi dettati dalla natura e dalle migrazioni. Vita agropastorale, senza dubbio resa ancora più dura da un clima ostile, in cui la natura era capace di dare e di togliere allo stesso tempo, in un costante alternarsi di abbondanza e sacrificio.
Il suo nome significa “guado di Andrea”, ma sull’identità di tale Andrea non è dato sapere. Le origini di questo borgo risalgono tra la fine del 1700 e il primo ‘800, quando alcuni pastori della vicina Buddusò scelsero questa valle come sede stagionale per il trasferimento del bestiame. Successivamente subentrò la pratica agricola della mezzadria e la presenza umana divenne fissa: l’arrivo di alcune famiglie della zona portò la popolazione ad almeno 50 unità, come racconta lo storico Enrico Costa in una relazione del 1892. Dopo Padru e Berchiddeddu, Badu Andria divenne quindi il terzo villaggio in ordine di grandezza di quello che allora era il vasto territorio comunale di Buddusò, conosciuto con l’antico nome di “Sos Saltos de Josso”, letteralmente “i salti di giù”.
L’ambiente impervio e desolato rendeva estremamente difficili gli spostamenti, a tal punto che i medici condotti di Buddusò non erano obbligati a portare assistenza sanitaria nei vari sobborghi. Il territorio era sprovvisto anche di chiese, per cui i battesimi e le altre funzioni religiose venivano effettuate solo nel mese di maggio, in occasione di alcune festività rurali. Il profondo degrado in cui vivevano queste comunità non passò inosservato all’attento occhio del Costa: “quella gente lasciata in così tristi condizioni era una vergogna per l’Italia e la Sardegna, gli abitanti dei salti di Buddusò potrebbero chiamarsi figliastri, anziché figli del comune”, scrive. Una situazione dipinta in modo simile anche da Goffredo Casalis, nel suo monumentale “Dizionario geografico-storico-statistico-commerciale degli Stati di S. M. il Re di Sardegna”.
I decenni passano, e anche a Badu Andria giungono timidi echi del progresso che avanza: arriva l’energia elettrica, come testimoniano alcuni pali della luce visibili ancora oggi lungo la strada, e intorno al 1950 viene costruita l’ultima abitazione, un piccolo edificio a due piani all’estremità sud. Ma proprio in questo periodo bisogna far fronte alla grande crisi del mondo agropastorale: i piccoli borghi si spopolano, ci si rifugia nei centri più grandi o nelle città, e anche qui si va incontro al progressivo e inesorabile abbandono.
E il tempo a Badu Andria sembra essersi fermato a cinquant’anni fa. Quasi tutto è rimasto come allora, salvo per i rovi che hanno preso il sopravvento sulle antiche dimore dei pastori. Fango e rovi, ludu e ru, come recita impietoso il nome di un’altra piccola frazione vicina ancora abitata, Ludurru, quasi a sintetizzare con rassegnazione l’asprezza di questi luoghi. Ma quello che forse colpisce di più, è il silenzio che regna su tutta la zona, rotto solo dalla pioggia e dalle raffiche del gelido vento invernale.
A tutt’oggi si contano una decina di case superstiti, quasi tutte a un piano, costruite con la dura pietra locale, il granito. Il villaggio si estende in lunghezza per poco più di un centinaio di metri, snodandosi lungo la stradina che dal crinale scende fino al fondovalle. Alcuni tetti sono crollati, altri ancora sembrano resistere, qualche abitazione è stata riutilizzata in tempi recenti come stalla o deposito per tegole o materiale agricolo.
Nelle case più vecchie restano visibili vecchi caminetti, forni e oggetti di uso quotidiano dell’epoca: un coperchio di pentola, bottiglie di vetro e l’immancabile scarpa. Nella struttura più recente compaiono invece un contatore elettrico divelto, una cucina e mobili tipicamente anni ’50. Ma ciò che balza all’occhio è sicuramente una vecchia culla, segno che anche qui, nel regno del fango e del rovo, qualcuno è venuto al mondo.
Dove si trova: da Padru percorrere la SP 24 per 14 Km in direzione Alà dei Sardi, fino a incontrare sulla sinistra il bivio per Badu Andria. Google Maps