La periferia sassarese nasconde un vecchio ospedale abbandonato in cui si lottava contro la tubercolosi
Circondati da moderni palazzi e da un alto muro perimetrale, i ruderi di uno dei più rinomati e efficienti sanatori sardi vengono lentamente consumati dal tempo. È il destino del vecchio sanatorio “Antonio Conti”, nato con l’obiettivo di combattere una delle più insidiose malattie infettive dei nostri tempi. Anche stavolta ci troviamo a raccontare una storia di sogni e sacrifici, ma per una volta l’abbandono racconta un’impresa dall’esito positivo: sta a significare che la lotta a una malattia – la tubercolosi – ha fortunatamente dato i suoi frutti.
Per ripercorrere la strada che portò alla sua istituzione dobbiamo tornare indietro al 1917, anno della scomparsa di Pietro Esperson, giurista, proprietario terriero e filantropo sassarese. Non avendo eredi, decise di lasciare tutti i suoi averi all’Ospedale Civile della città, a patto che venissero utilizzati per costruire un sanatorio che accogliesse le persone colpite dalla tubercolosi. Oggi quasi dimenticato nelle nostre latitiduni, a quell’epoca il “mal sottile” era estremamente diffuso e mieteva ogni anno migliaia di vittime.
L’ospedale si rese conto di non poter gestire quell’eredità, per cui dovette ben presto rinunciarvi. Ma l’ultimo sogno di Esperson non cadde nell’oblio: dopo dieci anni di attesa il suo esecutore testamentario, il prof. Vincenzo Dettori, prese in mano la situazione e si rivolse all’INPS, che allora si occupava anche dell’assistenza e della costruzione di abitazioni per i malati di tubercolosi.
È il 1930: il terreno adatto per la costruzione di un sanatorio venne scelto in una campagna non lontana dal vecchio ospedale psichiatrico di Rizzeddu, presso l’odierna via Livorno. L’anno successivo venne qui edificato un sanatorio che rimase attivo fino al 1956 quando, per far fronte alle necessità di un sempre maggiore numero di ammalati, venne trasferito alcuni chilometri più ad est, nell’area rurale conosciuta come Serra Secca, lungo il vecchio tracciato della Strada Statale “Carlo Felice”.
Il nuovo sanatorio, che veniva ospitato in un preesistente complesso di caseggiati riconvertiti per l’occasione, fu intestato alla memoria di Antonio Conti, direttore sanitario dell’ospedale di Sassari, consigliere comunale e sindaco della città tra il 1891 e 1892. Diventò quindi la sede della Clinica Pneumologica dell’Università di Sassari fino alla sua dismissione.
In origine era costituito da 14 padiglioni, collegati tra loro da un lungo corridoio centrale vetrato, ad anello. Nell’edificio principale, sul lato ovest, vi era la sede della direzione, i laboratori e gli alloggi per medici, infermieri e suore. Gli altri caseggiati a un piano erano divisi tra le varie infrastrutture e i reparti di degenza, per un totale circa 300 posti letto (150 uomini e altrettante donne), a cui si aggiunsero altri 70 letti per bambini pochi anni più tardi.
Le stanze di ricovero si affacciavano su una veranda di 30 metri, che a sua volta si apriva su un grande parco alberato, caratteristica rispondente alla regola di ad ogni sanatorio. Vi erano inoltre una chiesa, una lavanderia, un serbatoio idrico, ampi servizi igienici e una centrale elettrica e termica la cui ciminiera rossa, parzialmente diroccata, svetta ancora oggi tra gli alberi.
Nonostante la vasta estensione e l’apparente lusso della struttura, quello che i sassaresi chiamano ancora oggi affettuosamente “lu sanatoriu” non navigava certo nell’oro: “povero di mezzi, ma ricco di umanità”, ricorda oggi lo studioso Gianfranco Trudda nelle sue “Strade della memoria”.
Nonostante ciò, l’amministrazione dell’ospedale si prodigò per ottimizzare le risorse e nascondere le ristrettezze economiche in cui versava, garantendo un servizio di alto livello. Negli anni successivi vennero addirittura inaugurati un bar, un ristorante con tanto di cuochi e camerieri, perfino un cinema, per restituire una parvenza di quotidianità e tentare di rendere la vita meno monotona per chi era costretto a un ricovero che poteva protrarsi anche per lunghi anni.
L’attività del sanatorio prosegue, fino a quando l’introduzione nuovi e sempre più efficaci farmaci antitubercolari, e di norme igieniche adeguate, determinano un netto e drastico calo nell’incidenza di questa temibile malattia.
Siamo ormai sul finire degli anni ’70: col progresso scientifico avanza di pari passo l’estensione urbanistica: il confine tra ospedale e città si assottiglia sempre di più, e gli oliveti della zona devono cedere il passo ai nuovi complessi residenziali. Con la diminuzione del numero di pazienti, il “Conti” appare ora decisamente troppo grande da gestire e deve rinunciare a 5 dei 14 padiglioni, quattro dei quali vengono abbattuti per far posto al nuovo quartiere, e un altro viene riconvertito ad abitazione.
Il resto del complesso (9 caseggiati superstiti, divenuti 8 dopo l’accorpamento di uno di essi col principale) va incontro al progressivo degrado e la struttura inizia a mostrare il peso degli anni: resta in funzione fino alla seconda metà degli anni ’90, quando la Clinica Pneumologica viene trasferita nella parte opposta della città, nelle Cliniche di viale San Pietro.
È la fine del sanatorio: solo il padiglione principale è stato restaurato e riconvertito a poliambulatorio attivo ancora oggi, mentre i vecchi caseggiati retrostanti sono ormai abbandonati a se stessi, lentamente inghiottiti dai crolli strutturali e dalla vegetazione del parco che cresce rigogliosa.
Anche qui si ripete il consueto scenario: apparecchiature antiquate, mobili, registri e archivi giacciono confusamente e frettolosamente accatastati nei corridoi e negli stanzoni in cui molte persone sono morte, ma molte di più sono tornate a vivere.
Dove si trova: a Sassari, in via Carlo Felice, in località Serra Secca, all’incrocio con via Vardabasso. L’area è recintata e l’accesso è sconsigliato. Google Maps