Carissimi….Lo spunto di questo racconto, oltre al vs. servizio telematico, me lo ha offerto mio figlio quando mi propose, nel gennaio 2024, il viaggio in Sardegna – terminato l’anno scolastico – con il desiderio di visitare i luoghi dove il sottoscritto ha vissuto in gioventù parte della propria vita. “Quanto mi sarebbe piaciuto fare un viaggio con mio padre” direbbe con rimpianto qualcuno di noi. Oristano rappresenta forse il luogo più significativo per quanto riguarda la formazione educativa della mia infanzia e la tappa a cui non potevo rinunciare era ritornare all’Orfanotrofio maschile di S. Francesco di Assisi. Tra le mura maestose della Villa Eleonora, vi ho trascorso, ospite con altri quaranta bambini, sei anni, dal 1953 al 1959, frequentando un anno di asilo e tutte le cinque classi della scuola elementare e sottoposto ai relativi obblighi educativi impartiti dalle otto suore che dirigevano il collegio. Anni di sacrifici, ma oggi posso dire ben compensati. Non è stato facile ritrovare l’edificio, sembrava fosse stato inghiottito dal tempo, il paesaggio cambiato, non c’erano più né il viale e neppure gli alberi di eucalipto che l’adornavano, la villa ottocentesca di Vandalino Casu sommersa dalla vegetazione, in gran parte in rovina le ampie sale interne, lo studio con la radio e un vecchio pianoforte, al primo piano le camerate-dormitorio con la cella della suora, in cima il terrazzo e poi il tetto dove sotto le tegole, io e Alessandro, nascondevamo i giornaletti proibiti (il grande Blek, Capitan Miki, l’Intrepido e Il Monello), al pianterreno le aule della scuola, il refettorio, il cenacolo delle suore, la cucina e la dispensa, il lavatoio con le quattro vasche, il focolare e l’enorme caldaia di rame per scaldare l’acqua, il piazzale cinto dalle mura dove i bambini giocavano, al di là delle mura il grande giardino-frutteto e in fondo addossata al recinto la casina del vecchio contadino. A guardare ciò che rimane di tutto questo è assistere ad un vero scempio. Ho pianto come se mi fosse morto un caro amico, un famigliare. Ho davanti a me tutti i volti delle suore ed anche ad occhi chiusi vedo il volto di suor Evelina (25 anni) e suor Maria Immacolata (23 anni) le mie insegnanti, sento le voci di suor Elisabetta la guardarobiera, di suor Mercedes addetta ai servizi vari, di suor Maria Rosaria la cuoca, di suor Paolina la più anziana addetta alla sorveglianza dei bambini, di suor Bernardetta e di madre Ignazia la madre superiora, rivedo nella cappella il prete don Marcialis dire messa come ogni mattina. Mio figlio da fuori sente provenire dall’interno delle voci, sono voci di ragazzi che giocano e si divertono a scompigliare vecchi arredi, residui di un recente passato, di famiglie che dopo l’abbandono delle suore dell’orfanotrofio si sono accampate nell’edificio, modificando in parte gli ambienti e adattandoli ai loro bisogni.
Mario Aramini. Borgo Hermada (Lt) lì 11. 1. 2025.