Forti come il granito, rossi come il fuoco, lontani come la morte.
L’ultima grande fortezza militare abbandonata dell’Arcipelago de La Maddalena, che ci accingiamo ora a raccontare, è l’Opera Punta Rossa.
Opera in tutti i sensi, anche musicale: complessa, potente, titanica, articolata e affascinante, sembra allo stesso tempo dotata di grazia con cui si insinua armoniosamente tra le rocce granitiche dell’estremità meridionale dell’isola di Caprera, seguendone gli anfratti e le tortuosità costiere.
Attenzione: non è il delirio di un esaltato melomane, ma è la bizzarra sensazione che ci ha trasmesso questa arzigogolata cittadella che si integra alla perfezione con gli scogli rossi e l’azzurro mare dell’Arcipelago.
Una strana ma affascinante combinazione tra ieri, oggi e un domani apocalittico: elementi e ruderi antichi e moderni si fondono e si fissano, cristallizzandosi con la peculiare alchimia dell’abbandono, grazie alla quale tutta la struttura sembra ormai assumere un significato del tutto alieno dalla funzione a cui era preposta, lasciandoci liberi di divagare sulla sua interpretazione.
Più gli anni trascorrono, infatti, più Punta Rossa si lascia alle spalle la sua veste passata e procede dritta verso un futuro in cui diverrà sempre più indistinguibile dall’ambiente circostante: un processo guadagnato giorno dopo giorno, crollo dopo crollo.
Di norma l’estetica e la grazia di cui abbiamo parlato sono impensabili per una costruzione con finalità militari, dall’architettura invariabilmente austera, rigida e funzionale. Ma per questa fortezza il discorso cambia: vuoi per lo scenario naturalistico, vuoi per la grande complessità strutturale, vuoi per le macerie in perenne divenire, possiamo azzardare il temerario accostamento, non sono linguistico, tra bellico e bello.
I freddi documenti storici, che appaiono così distanti durante la nostra visita in cui sembriamo allontanarci anche dalla realtà, parlano di un primo nucleo costruito nel 1866 per la difesa costiera dell’Arcipelago. Nei vent’anni successivi Punta Rossa venne ampliata fino ad occupare del tutto l’omonimo promontorio, diventando una delle principali fortificazioni locali della Regia Marina: una posizione strategica circondata dal mare su tre lati, Levante, Mezzogiorno e Ponente, sorvegliati da enormi pezzi di artiglieria pesante, fin quasi di 70 tonnellate ognuno.
Oltre alla funzione difensiva e di sorveglianza, l’Opera ricopriva anche il ruolo di polveriera per il rifornimento navale di munizioni. Nei primi decenni del XX secolo, con l’imperversare dei venti di guerra, venne ulteriormente estesa con la costruzione di diversi capannoni e l’ampliamento del molo sul versante nord-ovest, adattato anche per le torpedini, raggiungendo una lunghezza complessiva di quasi 900 metri.
Dopo l’ultima guerra, in cui è probabile una sua partecipazione attiva visto il fronte “caldo” dell’Arcipelago, venne progressivamente dismessa, concludendo la sua esistenza come teatro di esercitazioni per le Forze Speciali della Marina fino al 2010: un ultimo strepito di modernità testimoniato dalla garitta antiproiettile che ci accoglie all’ingresso.
Superato questo ostacolo fantasma, ci addentriamo nel complesso incontrando depositi, torrette di guardia che sembrano sradicate e divelte da una irresistibile forza sconosciuta, un surreale villino verosimilmente appartenuto a qualche alto papavero graduato. Quindi capannoni antistanti il mare, binari diretti verso il nulla, vasti spiazzi silenziosi.
Più avanti ancora veniamo inghiottiti dalla parte più antica della fortezza: un susseguirsi di crolli e macerie intervallati da un intrico di cunicoli, gallerie, camminamenti, scale e passaggi più o meno nascosti che sembrano scaturire più da una litografia di Maurits Cornelis Escher che dalla mente di un architetto militare. Una potentissima sinfonia di elementi creativi e distruttivi che, interagendo tra di loro, ci trasporta in una labirintica dimensione parallela.
Infine, salendo sul piazzale superiore, ci troviamo faccia a faccia con le due postazioni degli obici da 343 millimetri, simili a colossali e infernali fornaci.
Torniamo sui nostri passi ancora frastornati da questo incontrollato susseguirsi di suggestioni storiche e, soprattutto, apocalittiche. Lasciamo Punta Rossa al suo destino, quello della distruzione, stavolta non ad opera di francesi, angloamericani o tedeschi, ma da parte del devastatore più implacabile, uniformante ed universale: anche questo piccolo e dimenticato angolo di pianeta Terra è destinato ad essere incessantemente bombardato dal Tempo.
Dove si trova: nell’estremità meridionale dell’isola di Caprera del Comune di La Maddalena, sull’omonima propaggine costiera. Google Maps.